31/Agosto/22

Impressionisti e fotografi, due storie parallele

Ci troviamo a Parigi quando il fotografo Joseph Niépce inizia a studiare la sensibilità della luce e la possibilità di riprodurre su carta immagini fotografiche; è il 1816 e inizia ufficialmente la storia della fotografia. Raggiungere il primo scatto non è impresa semplice, infatti Niépce realizza Vista dalla finestra a Le Gras solo dieci anni dopo, mentre il successo presso il grande pubblico arriva nel 1837 con la nascita del dagherrotipo. L’immagine fotografica è ottenuta attraverso un processo chimico su lastre di argento o rame argentato, precedentemente sensibilizzato in camera oscura mediante esposizione ai vapori di iodio. Il processo è ideato da Joseph Niépce e realizzato dal chimico Louis Daguerre, da cui prende il nome.

La fotografia inizia così ad attrarre le masse e i tanti artisti che animano gli ambienti culturali di Parigi; da Paul Gauguin a Edgar Degas, da Toulouse-Lautrec a Cézanne, l’utilizzo degli scatti come modelli di pittura dilaga a macchia d’olio. A legarsi in toto alla fotografia sono gli Impressionisti: un gruppo di pittori formatosi intorno alla figura di Édouard Manet, il cui scopo primario è quello di usare l’occhio umano per decifrare i colori puri e dissolvere le macchie di colore.

La corrente impressionista presenta un tipo di pittura ben lontana dai dettami accademici dell’epoca e, per questo, beffeggiava dal pubblico. Le chiacchiere non influenzano il fotografo Félix Nadar, che riconosce subito la modernità della loro tecnica pittorica e il legame con la fotografia. Infatti, le due arti condividono l’importanza della luce nel processo creativo delle immagini. Così nel 1874, Nadar decide di ospitare nel suo studio fotografico la prima mostra indipendente degli Impressionisti. 

Impressionismo e fotografia si legano sempre più, tanto che col tempo i pittori adottano dalla fotografia le originali inquadrature, il taglio casuale dei soggetti e le ambientazioni quotidiane cittadine. Si inizia a dipingere en plein air, letteralmente all’aria aperta, per cogliere le sottili sfumature che la luce genera su ogni particolare, allo stesso modo di come noi oggi scattiamo le fotografie. 

Gli scatti fotografici rivoluzionano completamente la pittura anche perché si propongono come uno strumento efficace per studiare la composizione delle scene e, soprattutto, gli oggetti in movimento. La capacità della fotografia di “fermare” le scene da ritrarre è un elemento di grande importanza per gli Impressionisti e non solo, soprattutto quando la pittura dal vero è condizionata dal continuo cambiamento delle condizioni di luce, o quando il movimento dei soggetti causa deformazioni nella resa pittorica.

Ad oggi, se osserviamo i quadri Impressionisti sembra di essere davanti a vere e proprie fotografie: le inquadrature nascoste di Degas dietro le quinte dei teatri, intento a riprendere le ballerine danzanti; le espressioni naturali dei soggetti di Manet; i parigini a passeggio ritratti da Gustave Caillebotte che tanto sembra ispirarsi alla regola fotografica dei terzi.

La fotografia aveva solo iniziato il suo lungo percorso verso i fotoreporter del Novecento e la cultura di massa odierna. Al contrario, l’arte moderna continuò ad evolversi non lasciando spazio agli Impressionisti che, pian piano, videro scemare il loro successo. Nonostante ciò, le loro inquadrature rappresentano ancora una ricca eredità per quei fotografi che, almeno una volta nella vita, hanno visitato il Musée d’Orsay a Parigi soltanto per soffermarsi a guardare i quadri impressionista traendone ispirazione.

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